
“Cara mamma,
dagli orologi fermi capisco la tua assenza. E stamattina nel solito bicchiere bianco c’era uno spazzolino da denti solo.
Il tuo te lo sei portato via.
Ma non credere che, te lontana, io faccia cose che a te dispiacciono.
Il mio sogno più caro ĆØ destinato a oscillare nell’aria lungamente, ma poi – certo – a dissolversi nel sereno, oltre le cose.
PerchĆ© amiamo perdutamente soltanto ciò che non avremo mai: e per me ĆØ la miseria, vecchi con lunghi mantelli fra ciminiere di fabbriche lontane, carraie che conducono a una cava di sabbia, bambine col grembiule rosso riflesse dall’acqua dei fossi.
La strada vera va lungo un marciapiede, ha consuete parole, vetrine infiorate, un “Punto giallo” fra gli specchi, e un mite desiderio di sicuri stipendi.
Cara mamma, augurami di soffrire ancora a lungo per amore di fantasia: a questo patto la tua ragazza potrĆ non morire.
Antonia”
(Antonia Pozzi – Lettera del 29 gennaio 1938
L’etĆ delle parole ĆØ finita – Lettere 1927-1938 – Archinto Editore)
Antonia Pozzi nasce a Milano nel 1912 da una facoltosa famiglia alto-borghese. La sua biografia su Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Antonia_Pozzi
A soli ventisei anni si tolse la vita mediante ingestione di barbiturici in una sera nevosa di dicembre del 1938, nel prato antistante all’abbazia di Chiaravalle, dopo esservisi recata in bicicletta: nel suo biglietto di addio ai genitori parlò di Ā«disperazione mortaleĀ»; la famiglia negò la circostanza “scandalosa” del suicidio, attribuendo la morte a polmonite.
Il testamento della Pozzi fu distrutto dal padre, che manipolò anche le sue poesie, scritte su quaderni e allora ancora tutte inedite.
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